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Trento, 19 gennaio 2010
Bettino Craxi, Giano bifronte
di Marco Boato
pubblicato su l'Adige e sul Trentino di martedì 19 gennaio 2010

Ricordo bene quell’ultimo discorso di Bettino Craxi alla Camera dei deputati. Solo un corridoio divideva i banchi dei socialisti da quelli dei verdi e io sedevo in prossimità di quel corridoio, a pochi metri da quell’uomo, provato e stanco, che leggeva con orgoglio e determinazione la sua “chiamata in correità” nei confronti dell’intero sistema dei partiti per quanto riguardava l’intreccio perverso tra finanziamenti pubblici e finanziamenti occulti di tanta parte della politica italiana (non tutta, perché ne erano estranee le formazioni minori, come i verdi e i radicali). In quella sorta di “canto del cigno” Craxi fu ascoltato in un silenzio assoluto da tutto l’emiciclo, affollato come nelle grandi occasioni istituzionali. Nessuno replicò, chi per rispetto per quella estrema confessione pubblica, chi per timore di essere coinvolto in quella spietata analisi e denuncia delle distorsioni così onnipervadenti del sistema politico italiano.

Il voto successivo della Camera, con cui alcune autorizzazioni a procedere venivano concesse e altre negate (era ancora in vigore l’originario art. 68 della Costituzione, che pochi mesi dopo sarebbe stato modificato: ed è una discussione che dura tutt’oggi), provocò indebitamente una ripercussione sull’appena nato Governo Ciampi (succeduto al Governo Amato dopo il referendum elettorale del 18 aprile 1993), con l’immediata uscita dal Governo dei ministri del Pds e del primo ministro verde all’ambiente (Francesco Rutelli, che dopo pochi mesi sarebbe stato eletto sindaco di Roma in contrapposizione a Gianfranco Fini), entrati nella compagine governativa per la prima volta nella storia italiana. Una partecipazione che sarebbe durata in tutto 18 ore. E alla sera si sarebbe verificata la terribile vicenda dell’assedio all’Hotel Raphael col lancio delle monetine da parte di una folla inferocita contro lo stesso Craxi, che aveva rifiutato di uscire da una porta di servizio.

Oggi 19 gennaio sono trascorsi esattamente 10 anni dalla morte di Craxi ad Hammamet e, da una parte, sembra passato davvero un secolo, mentre dall’altra, sembra che per gli opposti schieramenti di allora sia ancora tutto incandescente come prima, ancora più di prima. C’è chi continua a ritenere che questo pezzo di storia politica debba continuare ad essere letto solo con le lenti delle vicende giudiziarie. Al contrario, c’è chi ritiene che l’apprezzamento della personalità politica di Craxi possa e debba cancellare qualunque ombra, qualunque condanna, qualunque valutazione critica.

Sui quotidiani e settimanali di quest’ultimo periodo, precedente all’anniversario, sono comparsi innumerevoli articoli e servizi, nella maggior parte dei quali si sono contrapposti capi d’accusa degni di una spietata requisitoria a esaltazioni politiche acritiche degne di una beatificazione laica, come se fossimo al cospetto di un Giano bifronte. Ma forse, a dieci anni dalla morte e a quasi vent’anni dall’esplosione di Tangentopoli, è giunto il momento di una riflessione più pacata (a cui hanno invitato tanto Bersani e Fassino, quanto Ciampi e Andreotti, ma anche l’ex ambasciatore e storico Sergio Romano, oltre che il presidente Napolitano), una riflessione ‘sine ira ac studio’ avrebbero detto gli antichi romani, cioè ormai fuori dai risentimenti e dagli odi, che sembrano riprodurre sempre uno scenario immoto e desolante.

Sgombriamo dunque il campo dagli aspetti giudiziari (anche se proprio in questi giorni è partita una campagna di stampa nei confronti di Antonio Di Pietro e di suoi supposti rapporti occulti proprio nella fase più dirompente di ‘Mani pulite’: anche in questo caso il garantismo deve valere in modo pregiudiziale fino a eventuale prova contraria). Non c’è dubbio che fenomeni di corruzione e di finanziamento illecito della politica (le cosiddette “tangenti”) ci furono, furono accertati e comportarono condanne da parte dei giudici. Obiettività storica (prima ancora che giudiziaria) deve indurre tuttavia a ricordare che non tutte le illegalità al riguardo furono perseguite con identica determinazione, che il teorema del “non poteva non sapere” non ha riguardato allo stesso modo tutti gli esponenti coinvolti nelle diverse forze politiche, che alcuni partiti (i socialisti ‘in primis’) furono travolti e cancellati dalle ripercussioni delle vicende giudiziarie, mentre altri furono risparmiati: “sommersi e salvati”, per usare una espressione di Primo Levi.

Ma è possibile ridurre solo a questo l’interpretazione e la valutazione storica della figura del leader socialista? Può il furore giustizialista cancellare intere pagine della storia italiana? No, non credo sia accettabile tutto questo, qualunque sia l’orientamento politico di ciascuno (d’altra parte il giustizialismo si è manifestato tanto a destra quanto a sinistra: chi non ricorda il cappio della Lega, le manette dei post-fascisti, le monetine della sinistra massimalista, ma anche i mass media di Berlusconi, allora schierati senza remore con ‘Mani pulite’, anche se oggi fingono di dimenticarsene?).

Se oggi la principale anomalia italiana è legata alla figura del Presidente del Consiglio e al suo irrisolto conflitto di interessi, negli anni ’70 e ’80 l’anomalia era rappresentata da un sistema politico ‘bloccato’, da una Dc egemone e inamovibile a fronte del più grande Partito comunista dell’occidente, e paradossalmente da un consociativismo politico, economico e istituzionale che rendeva impossibile una democrazia dell’alternanza, irreformabili le istituzioni e sempre più incontenibile il debito pubblico.

Bettino Craxi, sulle orme di Pietro Nenni (a cui, finchè il vecchio leader fu in vita, fu sempre legato), cercò di ridimensionare questa anomalia, affermando l’autonomia socialista rispetto alla precedente subalternità comunista, proponendo con forza la necessità di una “grande riforma” istituzionale e costituzionale (allora nessuno ne parlava), riducendo l’impatto della scala mobile sull’inflazione galoppante a due cifre, cercando di creare le condizioni per una alternativa di governo al sistema consociativo. E anche affermando una forte autonomia dell’Italia sul piano internazionale, pur all’interno delle alleanze determinate dalla guerra fredda.

Questo molteplice progetto, assai ambizioso, in alcune iniziative riuscì (basti citare il referendum sulla scala mobile o, sul piano internazionale, la vicenda di Sigonella e i rapporti col Medio Oriente, il sostegno ai dissidenti dell’Est  e ai movimenti di liberazione nazionale), ma nel suo impianto strategico fallì, e non solo per sua responsabilità. L’alternativa di governo non ci fu, il sistema politico rimase ‘bloccato’ fino alla caduta del Muro di Berlino e perfino l’evento epocale del 1989 non lo vide in grado di gestirne le conseguenze (anche per responsabilità dell’allora Pci). Anche l’ondata referendaria del 1991 e del 1993 lo trovò incapace di capire gli eventi e illuso di poterne ignorare le dirompenti conseguenze, pur avendo lui stesso invocato la “grande riforma” con Giuliano Amato fin dai primi anni ’80.

Oggi, nel decennale della morte di Bettino Craxi, è davvero il caso di deporre le armi ideologiche, di riconoscere l’importanza e l’originalità della sua figura politica, di non dimenticare le gravi vicende giudiziarie, ma anche di saper riflettere con animo aperto e sgombro da pregiudizi ormai sclerotici su un pezzo di storia italiana ed europea, di cui è stato protagonista e che non può più essere rimosso dalla memoria e dalle coscienze.

Marco Boato

 

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